Pnrr, piccoli Comuni beffati: parte dei loro fondi andrà alle grandi città. Taglio di 4 miliardi

Il decreto bis sul Piano recupera 10 miliardi per le opere soprattutto nelle grandi città

Pnrr, piccoli Comuni beffati: parte dei loro fondi andrà alle grandi città. Taglio di 4 miliardi
di Giacomo Andreoli
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Venerdì 1 Marzo 2024, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 10:44

«No al gioco delle tre carte, non possiamo rimetterci». Da Nord a Sud il coro di proteste dei piccoli comuni è praticamente unanime. L’ultimo decreto Pnrr potrebbe aiutare i grandi centri, rimborsandoli dei 10 miliardi per le opere “persi” con la revisione del Piano approvata dal governo e dalla Commissione Ue a dicembre, ma dirottando le risorse da altri fondi. Tra questi quelli per investimenti, messa in sicurezza degli edifici e infrastrutture. Risorse che impattano molto, tra gli altri, sui piccoli centri, soprattutto montani, che sono la metà di tutti i comuni italiani (3.400 su 7.896). Non solo: nel mirino degli enti locali minori c’è anche il nuovo meccanismo di commissariamento di chi non è virtuoso nell’uso dei fondi del Pnrr, con le risorse da restituire in caso di ritardi. La tesi è che, nell’incertezza di norme che cambiano spesso, si rischierebbe non di accelerare, ma paradossalmente di non far partire le opere per la paura della firma.

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I NODI DA RISOLVERE

Facciamo un passo indietro.

Il decreto Pnrr bis, di cui si attende il testo definitivo con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, vale in tutto 25 miliardi. Tra questi 22 servono a “salvare” i progetti definanziati con la rimodulazione. Ci sono circa dieci miliardi per progetti già in essere e un miliardo per la decarbonizzazione dell’ex Ilva. Ma soprattutto oltre 10 miliardi per i Comuni, principalmente i medio-grandi: 6 per piccole e medie opere, 3,4 per la rigenerazione urbana e 1,6 per i Piani urbani integrati (necessari per la riqualificazione delle periferie). Recuperarli è indispensabile, visto che le città hanno già impiegato i soldi, aggiudicando circa 12 miliardi di opere con 230mila gare.Le risorse, in attesa della prima relazione semestrale dei ministeri dell’Economia e degli Affari Europei, che potrà individuare altre fonti di finanziamento e sarà poi aggiornata ogni sei mesi, per ora vengono prese anche dirottando 13 miliardi. 

Principalmente da i soldi per l'Avvocatura dello Stato e da due fondi: quello per lo sviluppo e la coesione (per 5 miliardi) e il Piano nazionale complementare, il gemello con fondi domestici del Pnrr (per 2,2 miliardi). Tra questi 4 miliardi impattano direttamente sulle Regioni e sui Comuni, principalmente i piccoli montani, più fragili economicamente e più soggetti a fenomeni climatici e sismici estremi. La maggior parte dei 2,2 miliardi del Pnc, infatti, riguardano ponti, viadotti e ferrovie, ma ci sono anche gli 1,8 miliardi per investimenti e la messa in sicurezza di edifici e territori e 250 milioni che erano stati assegnati alla ricostruzione delle aree terremotate: l’Aquila e il Centro Italia. 

Il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, ha assicurato che nessun progetto andrà perso e tutte le risorse saranno recuperate, ma come non è ancora chiaro. «Per trovare i soldi legati a progetti in fase di appalto - lamenta Marco Bussone, presidente Uncem (Unione nazionale comuni ed enti montani) - si rischia di farci danni importanti. Aspettiamo il testo definitivo del decreto, ma quello che sappiamo al momento non ci rassicura. Vengono tolti soldi, ma non gli obiettivi previsti da quei fondi, senza farci capire eventualmente come verranno rimborsati: non si può continuare a spostare soldi e non dare risposte, lasciando nell’incertezza gli enti locali. Per noi la messa in sicurezza sismica e idrogeologica vuol dire potenzialmente salvare le città dalla distruzione».

LE ALTRE CRITICITÀ

L’ultima bozza disponibile del decreto prevede poi la creazione di una nuova struttura di missione a Palazzo Chigi che si può sostituire alle amministrazioni in ritardo. Ma anche un coordinamento delle Prefetture e maglie più strette per i Comuni beneficiari dei fondi se presentano irregolarità di qualche tipo.
«Questa - aggiunge Bussone - è la terza volta che cambiano i sistemi di gestione e rendicontazione delle risorse. E con gli emendamenti al decreto ci potranno essere ulteriori novità tra marzo e aprile. Si rischia che un sindaco faccia partire un appalto, ma poi faccia un errore in buona fede perché le norme sono cambiate nel frattempo e poi gli arrivi la Corte dei Conti a dirgli “che avete fatto?”, mentre il Mef gli chiede i soldi indietro». Per Bussone più che regole maggiormente stringenti servirebbe «superare il meccanismo dei cosiddetti “campanili”, con i comuni che devono lavorare insieme nel selezionare le opere necessarie: non ci deve essere una competizione tra municipi per accaparrarsi le risorse». C’è poi il problema dei fondi che non arrivano per le opere in essere del Pnrr. «Io - spiega Danilo Breusa, sindaco di Pomaretto, mille abitanti in provincia di Torino - ricevo il 20% dei pagamenti e gli altri dopo mesi, ma non so esattamente quando. Non ho più soldi in cassa e non posso anticiparli alle imprese, così rischio di perdere quasi 1 milione per un ponte e una strada. Figuriamoci se ci tolgono altri fondi per aiutare i grandi centri». Anche tra le Regioni e le città maggiori, però, non c’è grande soddisfazione, anzi. La Conferenza Stato Regioni e l’Anci per ora non si esprimono ufficialmente, in attesa delle apposite cabine di regia con il governo per discutere tutti i dossier. Tuttavia fonti dell’Associazione nazionale comuni italiani mettono in evidenza come i presunti nuovi tagli riguarderebbero anche le città maggiori. 

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