Meloni sul premierato: «La riforma è un rischio, non la faccio per me ma io non indietreggio»

La premier: «Salvaguardiamo i poteri del Quirinale»

La presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, nel corso del convegno "La Costituzione di tutti - Dialogo sul premierato" a Montecitorio, Roma 8 maggio 2024. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
di Francesco Bechis
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 22:51 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 09:28

Il momento della verità arriva dopo una prolusione forbita, quasi accademica, ricca di riferimenti storici e letterari. Bettino Craxi e Costantino Mortati, De Gasperi e l’Msi di Almirante. Poi Giorgia Meloni si ferma e sospira. «Io non ho bisogno di fare questa riforma. Per me è anche un rischio. Ma indietreggiare ora sarebbe un errore». Camera dei Deputati, Sala della Regina. Mentre la “madre di tutte le riforme”, il premierato, atterra nell’aula del Senato per avere un primo via libera alla vigilia delle Europee, la premier celebra una festa anticipata. In sala niente militanti, ma grand commis, top manager di Stato, imprenditori più e meno vicini al centrodestra. Perfino star vecchie e nuove, Pupo, Iva Zanicchi, Claudia Gerini, il nuotatore Filippo Magnini sono stati reclutati per questo dibattito sulla “Costituzione di tutti” allestito dalla Fondazione Craxi e la Fondazione De Gasperi presieduta da Angelino Alfano (e i fotografi si divertono a inquadrare i due ex rivali acerrimi oggi tornati amici, Meloni cita di continuo e ringrazia “Angelino”).

Premierato, Meloni: «Riforma per me un rischio, ma va colta l'occasione. Inalterati poteri del capo dello Stato»

Un dibattito che sul palco color porpora prende pian piano la forma di un grande spot alla riforma meloniana sotto il tiro delle opposizioni e di Elly Schlein a cui Meloni risponde a tono: «Promettono di opporre i loro corpi contro la riforma.

Dialogare partendo da questi presupposti mi pare difficile». «Non serve a me», insiste la leader di Fratelli d’Italia scacciando l’accusa di una riforma cucita addosso al melonismo, pensata per un ritorno in grande stile a Palazzo Chigi - con l’elezione diretta del premier alle urne - la prossima legislatura.

Invece no, replica lei, non serve perché «questo governo è solido e durerà». E il premierato «non riguarda la sottoscritta o il presidente Mattarella», aggiunge schermando la “sua” riforma dall’accusa più ricorrente a sinistra. Un’invasione di campo nei poteri e nelle prerogative che oggi spettano al Quirinale. «Bisogna salvaguardare gli organi di garanzia, a partire dalla funzione di arbitro super partes del capo dello Stato - prova a rassicurare Meloni - è esattamente quello che fa questa riforma del premierato, è stata una scelta lasciare inalterati i poteri fondamentali del presidente della Repubblica».

LA PLATEA

Attende un’ora piena seduta in prima fila, la premier, prende appunti mentre sul palco si alternano i relatori. Giovanni Orsina professore della Luiss, il costituzionalista Luciano Violante. Sorride e annuisce Meloni anche al consigliere e rivale, ex presidente della Camera, mentre dispensa dritte e rimbrotti sul cantiere costituzionale del governo, invita a non pensare ai guadagni immediati ma a «cosa farebbero gli avversari se avessero una riforma di questo genere fra le mani». «Io mi sono interrogata molte volte su come gli avversari utilizzerebbero questa riforma. Non mi spaventa», replica lei. Poi il discorso sul palco, pensato per lanciare un messaggio alla platea di imprenditori e manager alla corte della premier: il premierato porterà «stabilità», il refrain, e senza stabilità «non puoi fare gli investimenti».

Applausi e volti raggianti fra i potenti al tempo di Giorgia accorsi numerosi per l’occasione. Ci sono gli editori Angelucci padre e figlio, top manager di partecipate, Enel, Terna, Snam, banchieri. E insieme a loro volti noti dello show business e dello sport che il volto hanno deciso di metterlo, sulla “madre di tutte le riforme”. Ecco Pupo, in seconda fila: «Io sono per il premierato forte, anzi fortissimo!». Dolce, salato, basta che si faccia. «E poi aboliscono i senatori a vita: vi immaginate se nominavano me?».

Il re delle vasche olimpiche Magnini sorride imbarazzato, «sono qui per ascoltare», Claudia Gerini invece no, «sul premierato avevo un’idea poi me ne sono fatta un’altra, la stabilità è importante». Galli della Loggia parla fitto con Cicchitto, dietro di qualche fila - al solito lontano dai riflettori - un pensoso Alfredo Mantovano, potente sottosegretario a Palazzo Chigi. Leghisti in sala? Pochi, anzi quasi nessuno. Mentre i cronisti salgono le scale, eccone uno che le scende, in direzione contraria. «Onorevole Candiani, non va verso il premierato?». «Io? Ma no, mica sono un “fascista” - se la ride di rimando - Scherzo eh, non scrivete!».

Uno degli organizzatori ascolta la leader del governo sul palco e una goccia di sudore gli solca la fronte: «Speriamo oggi parli da presidente del Consiglio, più che da Giorgia..». E invece “Giorgia”, la capo-partito, riaffiora qua e là nel lungo discorso istituzionale. Come quando si mette a canzonare Schlein e la sua promessa di frapporre “il corpo” contro il premierato, «che è, una minaccia?». O ancora quando si mette a fare i conti sulla durata del suo governo. «Sarà il sesto più longevo della storia repubblicana se arriverà a mangiare il panettone..».

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