Dolce morte con 10 mila euro: ogni anno partono in cinquanta

Dolce morte con 10 mila euro: ogni anno partono in cinquanta
di Carla Massi
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Martedì 28 Febbraio 2017, 08:20
​Il migrante del suicidio assistito deve avere dagli otto ai tredicimila euro in tasca per andare a morire in Svizzera. Tanto costa l'eutanasia nelle cliniche d'Oltralpe. Là dove è andato Fabiano Antoniani, il dj Fabo, per mettere fine alla sua vita.

LE VISITE
Là, in Svizzera, dove associazioni no-profit come Dignitas, Eternal Spirit, Exit e Lifecircle si occupano della cosiddetta dolce morte volontaria. Dove il servizio, con questa cifra variabile (gran parte va all'associazione), comprende, oltre alla termine delle sofferenze, anche il pernottamento, le visite, l'assistenza medica, quella psicologica, le pratiche burocratiche, il trasporto della salma e il servizio funebre.


 
Le associazioni gestiscono le cliniche, si occupano della prenotazione dell'hotel e dei taxi per il trasporto dall'albergo allo studio medico per la visita e dell'acquisto dei medicinali con i quali viene effettuato l'atto finale.
Alcune associazioni vietano di incontrare i pazienti prima del loro arrivo in Svizzera altre, invece, inviano a domicilio uno psicologo o un'infermiera per cominciare il colloquio. «Eternal Spirit garantisce a tutti gli iscritti di Lifecircle - spiegano all'associazione - l'accompagnamento alla morte volontaria assistita, senza alcuna distinzione di cittadinanza o Paese, compresi tutti quelli al di fuori della Svizzera. In modo che anche gli stranieri possano avere la legalizzazione della morte volontaria assistita nel proprio Paese senza essere costretti a recarsi in Svizzera per ottenerla».

In Italia, questi assistenti, dicono di non essere mai venuti. Da noi sono circa duecento l'anno le persone che chiedono il suicidio assistito. Ma, una buona parte, dai sanitari svizzeri viene respinta perché non conforme ai canoni stabiliti dalla legge. Dalla dichiarazione di malattia terminale, alla non rispondenza alle terapie, alla condizione di «incompatibilità con la vita quotidiana». Come, secondo le norme svizzere, era la condizione del dj Fabo.

Come quella di Lucio Magri, ex parlamentare e fondatore de Il Manifesto, che nel dicembre del 2011 a 79 anni salutò gli amici e li informò che sarebbe andato a morire in Svizzera. Per mettere fine ad una profonda depressione che lo aveva colpito dopo la scomparsa della moglie colpita da tumore.

LA LETTERA
Come quella del giudice di Vibo Valentia Vibo Valentia Pietro D'amico, aprile 2013. «C'è poco da capire - scriveva ad un amico - In una situazione come la mia io voglio morire perché aggredito da una malattia terribile in fase avanzata e terminale». Colpito da una patologia neurologica è morto nella clinica di Biel-Benken, in Svizzera.
Come quella dell'infermiera Dominique Velati, 59 anni, piemontese che nel 2015, scelse la dolce morte in una clinica di Berna. Malata di cancro al colon era stata sottoposta ad un intervento chirurgico, alla chemio e il successivo accertamento che il tumore si era esteso al fegato e che le metastasi si stavano moltiplicando.

IL SALUTO
«Parliamone! Parliamone! Parliamone! La vostra vita vi appartiene, e quindi anche la morte. Perché averne paura?». Con questo appello Dominique Velati ha lasciato l'Italia per l'ultimo viaggio dopo aver organizzato una festicciola con gli amici del bar sotto casa. L'infermiera piemontese, come annunciò allora Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni, è stata la prima persona aiutata economicamente e accompagnata dai radicali verso l'eutanasia. L'anno scorso sono andati a morire in Svizzera circa 50-60 italiani. Sconosciuti che, in silenzio, si sono fatti trasportare oltre il confine e, coscienti, hanno deciso di entrare in quella stanza e chiudere, così, con la vita.
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