"Linea Azzurri", il nuovo programma dedicato al territorio e agli sport minori

In onda su Sportitalia dal 2 giugno alle ore 20:00. Le interviste ad Angelo Maietta e a Carlo Fumo.

"Linea Azzurri", il nuovo programma dedicato al territorio e agli sport minori
di Carmela De Rose
14 Minuti di Lettura
Giovedì 16 Maggio 2024, 11:42

Il Circolo Canottieri Aniene a Roma ha presentato il nuovo programma "Linea Azzurri", che andrà in onda su Sportitalia a partire dal 2 giugno. Ideato da Angelo Maietta, con la produzione e la regia di Carlo Fumo, il programma vedrà campioni dello sport raccontare i luoghi che hanno segnato la loro carriera sportiva. Le conduttrici Alice Brivio, Romina Pierdomenico, Barbara Politi, Fabrizia Santarelli e Angela Tuccia si alterneranno nell'intervistare i campioni, esplorando i luoghi che hanno segnato la loro vita e carriera sportiva.

Ogni puntata di "Linea Azzurri" si concentrerà su un campione dello sport italiano e offrirà uno sguardo approfondito sui luoghi che hanno influenzato la loro crescita sportiva. Dai luoghi di studio e gioco, agli allenamenti e le passioni personali, il programma mira a trasformare le icone dello sport in testimonial del loro territorio di provenienza. Grazie al patrocinio morale del Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), "Linea Azzurri" promette di offrire un'esperienza unica e coinvolgente per gli spettatori.

Intervistando Angelo Maietta (ideatore del format)

Come è nata proprio il principio ideativo dell'idea del programma? E poi, successivamente, come l'hai sviluppata? 

“L'idea nasce da una chiacchierata che ho fatto con Giovanni Malagò, il presidente del Coni. Io mi occupo, tra le altre cose, di giustizia sportiva. Sono vicepresidente della prima sezione del Collegio di garanzia dello Sport che è la Corte di Cassazione nello sport. E chiacchierando un giorno con Giovanni Malagò dissi: perché non proviamo a raccontare la storia dei campioni dello sport, che non sono solo quelli del calcio o del basket, quindi dei cosiddetti sport maggiori, ma anche di tutti quelli che con fatica, giorno per giorno, vanno a conquistarsi degli spazi facendo sacrifici.  Volevo far capire il loro percorso di vita e come il territorio da cui vengono sia importante e quindi dimostrare che non c'è bisogno di nascere a Roma, a Milano, a New York o a Londra per diventare campioni. Ma come anche i piccoli paesi possono aiutare un ragazzo pieno di sogni a fare quello che poi fa nella vita. E devo dire che, come sempre, Giovanni Malagò, che è una grandissima persona, ha avuto una grande visione. Guardandomi mi disse Ok, vai avanti. Cominciai a ragionarne con i miei autori, perché io tra l'altro mi occupo di management e di programmi televisivi. Diciamo uno spin off della mia professione, lo faccio per divertimento. Il termine linea non è messo a caso, perché mi piaceva l'idea della continuità ma una continuità che non si spezza. Questa è una prima edizione che facciamo che abbiamo fatto e che continueremo e che probabilmente allargheremo anche allo sport paralimpico.”

Di cosa parlerà il programma?

“Tutta la storia delle famiglie, tutta la storia dei territori, delle strutture e delle infrastrutture che occorrono per far crescere questi campioni e soprattutto perché sostanzialmente la linea è una cosa tendenzialmente infinita. In questa edizione abbiamo anche pensato di fare un omaggio e celebrare quelli che sono stati i grandi del passato, in questo caso Pietro Mennea che la sua linea non si è mai interrotta è sempre grande perché non è stato un grande soltanto nello sport ma è stato poi anche un grande nella vita, coniugando e dimostrando che non c'è una persona che si deve dedicare solo ad una cosa per riuscire e per essere ricordato e lui ne è la testimonianza. Per ogni puntata ci sarà la presenza di una conduttrice femmina, ognuno di loro è laureata e super talentuosa. Le ho alternate proprio per dare uno stacco a ogni singolo sport, dare una individualità e non creare solo dei programmi seriali che vengono ricordati e identificati per il conduttore e non per i contenuti. In questo modo, spezzando le conduzioni, uno ricorda sia il contenuto e anche il conduttore.” 

Per quanto riguarda il settore dell’intrattenimento italiano, secondo te cosa c’è da migliorare?

“Intanto noi scontiamo un problema di origine che riguarda il formalismo. L'Italia è il Paese della forma ma c’è molta vaghezza normativa su certi temi. Noi abbiamo lacune strutturali che riguardano il settore del cinema, dello spettacolo e della televisione e quelle norme sono state fatte da persone non competenti che non conoscono la materia perché non l'hanno studiata. All'estero queste cose costituiscono un punto di PIL dell'industria e ricchezza. Da noi la televisione viene vista non come prodotto dell'industria, ma viene vista come intrattenimento, il giocare, ridere, scherzare e vediamo anche programmi che vanno in giro, per carità, magari ben fatti e studiati bene, ma alla fine della fiera raccontano sempre le stesse cose. L'ultimo grande programma che ricordo che alimentava i palinsesti televisivi, ma non parlo di Rai e parlo di tutti, si chiamava Portobello, lo aveva fatto Enzo Tortora. Ogni rubrica di Portobello che durava 3 minuti è diventata un programma, e quel programma è stato poi posizionato in altri 100 programmi. Il problema in Italia riguarda anche la retribuzione. Il lavoro deve essere retribuito nella misura giusta. Non ci debbono essere eccessi al rialzo, ma neanche al ribasso. Non è giusto che le giovani conduttrici emergenti vengono pagate pochissimo rispetto alle quelle già più conosciute.”

Essendo un grande esperto in diritto di autore, dove arriveremo con l’introduzione dell’intelligenza artificiale? 

“Io mi occupo da tempo di questi temi anche del diritto di internet e delle nuove tecnologie. Ho tra i miei insegnamenti un esame che si chiama ‘diritto della multimedialità’. Un primo atto normativo a livello europeo è un Regolamento che hanno fatto proprio sull'intelligenza artificiale ma che non disciplina specificamente i problemi che esistono e ci sono ma attenzione non bisogna né enfatizzare troppo né demonizzarli troppo. L'intervento umano deve porsi al centro della tecnologia futura e della non tecnologia del passato e fare sintesi. I problemi del diritto d'autore oggi ci sono, maggiormente con l'intelligenza artificiale, soprattutto per il problema legato al plagio. Però è esattamente la risposta sta esattamente proprio in questi meccanismi di cui parliamo, perché il fatto che noi affidiamo alla macchina e agli algoritmi la commutazione o la clonazione, come giustamente dicevi, ci dà anche un'altra possibilità che è quella di sapere che i codici alfanumerici e gli algoritmi possono essere creati anche per neutralizzare gli effetti della clonazione o delle copiature, cioè un'intelligenza artificiale che si autolimita. Faccio un parallelo con i vaccini e i farmaci. Dal greco farmaco vuol dire veleno. Un vaccino che cos'è? Non è nient’altro che inserire all'interno del corpo esattamente quel virus ma inefficace, per sollecitare la risposta immunitaria. Noi dobbiamo fare questo nella tecnologia inserire all'interno degli algoritmi di intelligenza artificiale altri algoritmi sempre di intelligenza artificiale ma con una somministrazione di difesa, paralizzare l'effetto colorante o clonante come piace dire a te, con un altro effetto che è quello tutelante rispetto a quello che può essere il pregiudizio. Le scienze algoritmiche e le scienze matematiche sono il prodotto della più grande scienza matematica della natura cioè il cervello, non c'è bisogno di creare altre cose, c'è bisogno semplicemente di governare le intelligenze che producono altre intelligenze in una maniera che non vada alla deriva. Non dobbiamo vivere nel mito di Terminator, le macchine che sostituiranno l'uomo? Assolutamente no, anche perché la macchina è creata dall'uomo, è sarà sempre il cervello umano a governare tutto. Bisogna soltanto usare il buon giudizio ed evitare di farsi scappare da mano la situazione. Per fare una metafora su quello che può essere il pensiero di cui stiamo ragionando, in America un sociologo ha detto quando gli fu chiesto quale sarebbe stato il futuro del mondo, lui ha risposto: la carta. Oggi, in un processo di digitalizzazione globale, dire che il futuro è la carta sembra dire un abominio e invece c'è una motivazione; lui dice che nel momento in cui io vado a costruire un documento con un software informatico che domani mattina non sarà più attuale perché sarà sostituito con quello successivo non leggerà più il documento precedente perché le specifiche algoritmiche sono diverse. La carta invece è sempre la stessa, la ‘res segnata’ di cui discutevano i latini, la carta siglata stampata dove tu vai a materializzare un pensiero con l'inchiostro su una cosa che è eterna.”

Qual è il messaggio, lo scopo epistemico di questo programma? 

“Il programma è per i giovani affinchè non smettiate di credere sempre nei vostri sogni. A me una volta fu detto: le tue origini ti condanneranno sempre. Io vengo da un paese che si chiama Atripalda, di 9000 anime in provincia di Avellino, attraversato da un fiumiciattolo e faccio unl lavoro che di solito per poter affermarti a livelli più o meno alti devi stare in contesti diversi perché ci sono più opportunità. Il messaggio di questo programma vuole dire esattamente il contrario e cioè se tu hai forza, determinazione, volontà, umiltà e spirito di sacrificio, devi soltanto avere la capacità di perseguirlo e determinato. Walt Disney diceva sempre che la differenza tra un obiettivo, un sogno è una data. Bisogna fare esattamente questo. Il programma vuole dimostrare che c'è gente che ce l'ha fatta e c'è gente che ce l'ha fatta senza soldi.

Perché noi raccontiamo gli sport minori. Il messaggio di questo programma è dire impegnatevi e fatelo anche se venite da piccoli territori, ma vuole essere anche un messaggio al contrario da dare al territorio e cioè create le opportunità per i giovani per non farli scappare. Aiutateli a realizzare i propri sogni. Come si fa? Creando dei laboratori dei sogni, chiedendo al giovane che vuoi fare nella vita, questo? Ok. E come un genitore che si sacrifica per i figli dando loro quello che può. Questo lo deve fare uno Stato come il nostro, che peraltro ha un sistema di welfare importante. Ma il welfare non deve essere inteso soltanto nella fase patologica. Sto male e mi curi, dammi la possibilità di crescere, poi mi curo da me."

La macchia sociale attuale dell'invidia del vecchio verso il giovane soprattutto nel mondo dello spettacolo, come se non ci fosse cambio generazionale? Cosa consigli ai giovani?

“Sì, non è solo questo. Circoscrivendo la domanda all'ambiente dello spettacolo, visto che parliamo di questo, dico ai giovani di non macchiare mai la propria dignità per una paura di un fallimento, perché l’unico fallimento che potete avere è utilizzare le scorciatoie, abdicando a una cosa fondamentale che è la dignità. E questo lo vorrei dire con estrema fermezza. Ci sono tanti aspiranti e come posso dire protagonisti soprattutto nel mondo delle conduzioni, si sentono dire cose in giro ragazze che diventano facilmente assurgono agli onori della cronaca. Chi arriva così facilmente cade così facilmente. Con una piccola differenza chi arriva tardi e arriva con sacrificio, sa che quello che ha ottenuto è suo, non deve mai abdicare alla dignità. E sa soprattutto che una volta che è arrivato quello che c'è su, nessuno glielo può togliere. Chi ti dà invece in maniera sporca, utilizzando meccanismi diversi di reclutamento, come ti dà, ti toglie e ti lascerà sempre una macchia. È un neo che infanga non solo la tua dignità, ma anche quella della tua famiglia che ti ha dato la possibilità di realizzare un sogno.”

Intervistando Carlo Fumo (regista e produttore).

Tu Carlo, sei un regista, sceneggiatore, scrittore, presidente, fondatore e direttore artistico anche di Italia Movie Award, anche del Festival Internazionale del Cinema Italiano all'estero. Per il nuovo programma che vedremo in onda dal prossimo 2 giugno Linea azzurri, oltre ad essere il produttore sei anche il regista, raccontaci la fase primordiale del progetto?

“È stato tutto molto semplice. Angelo è il mio avvocato e un grande amico, oltre a essere comunque uno dei massimi esperti in Italia in termini di diritto d'autore e soprattutto in termini di diritto sportivo. Essendo un profondo conoscitore dell'argomento, ha sempre sognato di realizzare un programma di questo tipo. Aveva il desiderio di realizzare un programma di questo tipo, vista la sua esperienza nel settore sia dell'intrattenimento sia dello sport. Quando mi propose questo progetto, ho accettato ben volentieri di farlo perché lo ritenevo un progetto molto interessante visto che non è il classico programma di sport che come spesso capita si sceglie l'atleta molto noto. La collaborazione importante per la sua riuscita è stata quella con il presidente del Coni Malagò. Abbiamo cercato di individuare questi sport minori, quelli che non godono della visibilità che godono gli altri sport.  Le federazioni sportive sono rimaste colpite che finalmente si e sentita la necessità di dare visibilità a quegli sport e quegli atleti che hanno meno visibilità rispetto al altri”.

Per quanto riguarda la struttura registica, come l'hai pensata? Nel senso è un programma a forma di stand up o un programma itinerante o invece siete in studio? 

“È un programma itinerante, girato in diversi territori. È un programma che non parla solo di sport, ma che parla anche della cultura di quel luogo e il rapporto stretto con gli atleti. Questo è un altro elemento interessante di linea azzurri, nel senso che noi andiamo nelle località in cui gli atleti si sono formati, in quegli stessi luoghi che hanno dato un po’ ovviamente in queste strutture delle varie federazioni, la possibilità agli atleti della squadra olimpica e della squadra azzurra italiana di poter raggiungere determinati obiettivi in quel contesto. Poi andiamo anche a raccontare dal punto di vista storico e turistico quel determinato, nei luoghi chiave degli atleti che andiamo ad intervistare”.

Come hai lavorato tu da regista con gli autori?

“Benissimo, quest’anno è il terzo programma che facciamo insieme, quindi siamo più che rodati. Abbiamo anche un altro programma “Piazza Girls” in onda su Rai Play e Rai Premium che a livello di dati auditel sta andando benissimo. L’argomento sta dimostrando di essere di nicchia e anche se siamo in onda su un canale minore come Rai Premium, siamo più che contenti. Stiamo ripartendo con il format del sogno americano che è già andato in onda in passato su Rai Italia, abbiamo girato all’epoca 10 puntate.”

Per quanto riguarda invece la ripartenza del Festival Italia Award?

“Allora Italia Award è fermo dal covid perché noi lo facevamo al Tale Center for Media a Manhattan davanti al MoMA sostanzialmente attorno ai teatri di New York che durante il covid sono stati chiusi, hanno riaperto fine anno scorso e non ci sono stati i tempi di tornare. Ci stiamo orientando che ripartiremo questo novembre. Come obiettivo questi tre mesi che verranno lavorerò per cercare di organizzare al meglio il Festival Movie World e l'idea è quella di tornare la seconda settimana di novembre come sempre a New York. Sui progetti televisivi invece sicuramente stiamo anche comunque mettendo le basi per ritornare con “Pizza girls” che è un progetto che cresce sempre di più con una mission molto importante.”

Mi piace chiudere ogni intervista con due domande la prima è un po’ più filosofica ed è: che cos'è per te il successo? 

“Non ho mai cercato. Non so nemmeno se poi quello che voglio sostanzialmente nel senso che è il percorso che per me è fondamentale è la passione e sono quelle cose che mi portano a ad avere anche una responsabilità. Sostanzialmente, ho sempre visto il mio lavoro con molta profondità e responsabilità. È un privilegio poter dar vita alle cose che creo nella mia testa poi metterle per iscritto e poi anche realizzarle con la televisione in questo caso e poter trasmettere delle emozioni alle persone quindi forse il successo maggiore, se successo lo vogliamo chiamare, è quella soddisfazione che ti arriva quando trasmetti qualcosa che può essere anche semplicemente  una sensazione a chi vede ciò che tu crei. Secondo me la cosa più bella è il percorso che fai per arrivare a quella quella realizzazione. Ho un carattere abbastanza strano, le cose me le godo molto dopo, nel senso che, sono molto concentrato sul fare le cose fatte in un certo modo quindi anche durante la fase di realizzazione sono abbastanza preso da quello che faccio. La cosa poi più importante per me sono i feedback delle persone che guardano quello che realizzo anche  se sono negativi, non importa, perché le critiche sono la cosa più importante è una cosa alla quale tengo molto purché siano costruttive. Il successo è un qualcosa che va molto di pari passo con l'equilibrio nella nostra vita e quindi mantenere l'equilibrio significa avere dei valori, darsi degli obiettivi ma soprattutto cercare quantomeno di raggiungerli, cadendo e rialzandosi. Ma questo avviene solamente se uno ha dei valori ben fermi e non cede a eventuali tentazioni perché il successo lo vedo come una tentazione, questo non è il mio obiettivo. In Italia come. Possiamo o possono fare coloro i quali. Ci governano in questo caso per dare la possibilità non solo sempre alle stesse persone soprattutto nel mondo del cinema che è un mondo molto chiuso, soprattutto in Italia."

Tu da addetto ai lavori, cosa consiglieresti per migliorare il settore del mondo dello spettacolo?

"È un argomento abbastanza complesso. Io adesso mi trovo spesso a insegnare ai ragazzi, ultimamente ho fatto anche dei progetti con delle scuole medie. Perché? Perché il film che realizzerò (spoiler) è anche rivolto molto ai giovani, quindi avevo voglia di confrontarmi con quelli più piccoli e capire come ragionano e come vedono il mondo.  L'ambiente del mondo dello spettacolo è quello, ma non è solo l'Italia che funziona così. Da 15 anni che lavoro e in parte vivo in America. Diciamo che gli ambienti chiusi sono un po’ in tanti settori, non solo cinema, un po’ dappertutto. Però il consiglio che do ai giovani è quello di fare squadra, perché a volte c'è molto individualismo. Io faccio sempre l'esempio del ‘Cavallo di Troia’, a volte bisogna essere incudine  in questo mondo però poi quando si può essere martello non si deve dare non si devono dare quelle martellate sbagliate che spesso il sistema da, ma bisognerebbe cercare di migliorare questo mondo. Quindi quando si ha l'opportunità di raggiungere una posizione bisognerebbe dare l'opportunità agli altri giovani talenti. Nel corso della mia carriera ho fatto anche molti errori e ne vado fiero, come vado fiero che cerco sempre di dare l’opportunità anche al territorio in cui sono nato.”

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