Anticorpi coniugati, immunoterapia, chemioterapia a dosi sempre più basse, nuovi farmaci approvati.
La ricerca non si ferma, per migliorare la prognosi della forma di cancro più diffusa tra le donne, quella al seno. Un lavoro tra la ricerca e la clinica che deve fare i conti con questi numeri: quasi 56mila diagnosi in Italia nel 2022, 11mila under 40, un tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi dell’88%. Numeri che giustificano la scelta, anche quest’anno, di dedicare il mese di ottobre alla prevenzione di questo tipo di tumore. Con incontri, manifestazioni, illuminazione in rosa dei monumenti. La prevenzione, consiglia l’Airc, l’Associazione ricerca cancro, con 139 progetti di ricerca sul tumore del seno, deve cominciare a 20 anni con controlli eseguiti da un senologo, affiancati alla mammografia biennale dopo i 50 o all’ecografia, ma solo in caso di necessità, in donne giovani. Più precoce è la diagnosi più certa è la guarigione. In genere il tumore al seno non provoca sintomi evidenti, ricordano gli specialisti dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma che nel mese di ottobre offre alle donne tra i 45 e i 49 anni l’opportunità di eseguire mammografie gratuite fino a esaurimento della disponibilità (06 164161840), ma il più comune e riconoscibile è la comparsa di un nodulo palpabile da controllare.
I SEGNALI DELLA MALATTIA
Segni riconducibili alla malattia sono: cambiamenti della forma del seno, alterazioni del capezzolo (retrazione o estroflessione), presenza di secrezione. In questi giorni, dunque, i diversi istituti di ricerca e gli specialisti ricordano i passi avanti fatti negli ultimi mesi. I test genomici, come confermato al congresso dell’American Society of Oncology a Chicago, si sono dimostrati essenziali per terapie su misura. Test, come Oncotype, che permettono di identificare chi, dopo l’operazione, può essere trattato solo con la terapia endocrina, evitando così la chemioterapia. Purtroppo non in tutte le Regioni oggi è possibile sottoporre le pazienti a questo esame. «Con questa tecnica – commenta Saverio Cinieri, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica – si possono identificare le pazienti che trattate con la sola terapia endocrina si mantengono libere da recidiva a distanza di dieci anni dalla diagnosi». Il Premio Nobel assegnato la scorsa settimana a Katalin Karikó e Drew Weissman per la scoperta dei vaccini a mRna utilizzati per la protezione dal Covid-19 ha riaperto il capitolo vaccini-cancro. Dal momento che i primi studi avevano come obiettivo proprio il tumore. È stato da poco presentato il primo studio al mondo su pazienti con melanoma che sono stati “curati” con vaccini a mRna. I dati dimostrano che il rischio di metastasi e ripresa di malattia è molto più basso. Per quanto riguarda il seno si è ancora nelle fasi preliminari. «Abbiamo potuto toccare con mano l’evoluzione molto rapida che sta avendo la tecnologia dei vaccini a mRna contro il cancro e anche le terapie cellulari durante l’International Cancer Immunotherapy Conference che si è svolto a Milano – fa sapere Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità di bioterapia dei tumori all’Istituto europeo di oncologia – Siamo anche riusciti a mettere nella stessa stanza le due aziende che stanno lavorando più di ogni altra in questa direzione, Moderna e BioNTech. È vero, si tratta di pochi pazienti trattati con questa combinazione vaccino più immunoterapia, però sono dati molto consistenti. Nei laboratori sono riusciti a sviluppare questa tecnologia anche per altri tumori oltre al melanoma, fra cui quelli al seno, polmone e colon.