Medicina, la mano bionica è realtà: "sente" gli oggetti. Primo test in Italia

Medicina, la mano bionica è realtà: "sente" gli oggetti. Primo test in Italia
di Carla Massi
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Mercoledì 5 Febbraio 2014, 20:01 - Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 16:40

«Mi sembra incredibile, dopo dieci anni, riuscire a sentire, ad occhi chiusi, se un oggetto che stringo in mano è caldo o freddo. Se sto toccando una bottiglia di plastica o di vetro, se stringo una pallina di gomma o un'arancia, se maneggio una rivista o un libro».

Dennis Aabo Sorensen, pittore edile danese di 36 anni, ha perso una mano nel 2004, la notte di Capodanno mentre accendeva i fuochi d'artificio. Quando, giocando con un maledetto petardo, si è ritrovato il palmo e le dita distrutte dall'esplosione.



Oggi Dennis è il primo al mondo a poter raccontare che vuol dire “risentire” la mano. Mossa dal cervello, in grado di muoversi come quella vera e di avere la sensibilità sui polpastrelli. Quella che ha indossato per trenta giorni è, infatti, la prima mano bionica (LifeHand2 è il suo nome, nel 2008 il primo prototipo) frutto di un progetto che vede l'Italia in prima linea.

Coordinato dal Politecnico di Losanna il lavoro, pubblicato sulla più prestigiosa rivista scientifica internazionale “Science Translational Medicine” vede la firma della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, l'università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, l'università Campus Bio-medico di Roma, l'Ircss San Raffaele e l'istituto Imtek dell'ateneo di Friburgo. Bioingegneri e neurologi per costruire una mano capace di ubbidire ai comandi del cervello. Per un mese Dennis ha indossato questa protesi (si tratta di una sperimentazione quindi i tempi sono obbligati): il suo cervello si è rimesso a comandare quell'arto che, per un decennio, non riceveva più stimoli.

LA STORIA
Un anno fa il primo intervento. Al Policlinico Gemelli sono stati impiantati quattro elettrodi nei nervi mediano e ulnare del braccio sinistro. Sette ore di operazione: il neurochirurgo Eduardo Marcos Fernandez e la sua équipe hanno inserito gli elettrodi «in modo trasversale rispetto ai fasci nervosi».

Un'incisione di circa 15 centimetri lungo il lato interno del braccio, ben lontano dal limite del moncherino. Sessantaquattro i contatti mano-cervello. Da lì, l'inizio della sperimentazione. «Avevamo l'obiettivo di esplorare i cambiamenti nell'organizzazione del cervello di Dennis - spiega Paolo Maria Rossini direttore dell'istituto di neurologia della Cattolica - sperando che si verificasse quel che poi è stato. Il pieno controllo dei feedback provenienti dalla protesi da parte del paziente, la preservazione della funzionalità di ciò che rimane dei suoi nervi mediano e ulnare, la riorganizzazione, appunto, del suo cervello in modo da consentirgli un efficace controllo della mano robotica».

Per ogni esame Dennis veniva bendato in modo che non potesse vedere l'oggetto da toccare e nelle sue orecchie aveva solo musica così che non sentisse rumori che lo potessero aiutare. Giorno dopo giorno, nella sua mano, sono arrivate bottiglie (ha riconosciuto se era birra o un'altra bevanda), palle da baseball, da golf, da tennis, mele e anche una cannuccia. Risposte esatte in oltre il 70% dei casi, riuscendo a dosare la forza da applicare per afferrare ogni cosa senza romperla. È stato in grado di riconoscere la consistenza di oggetti duri, intermedi e morbidi in più del 78% di prese effettuate e nell'88% dei casi ha saputo definire le forme.

IL FUTURO
«A questo punto - aggiunge Eugenio Guglielmelli che dirige il laboratorio di Robotica biomedica al Campus Bio-medico di Roma - possiamo pensare di integrare questa protesi con un numero sempre più elevato di sensori tattili. Per il futuro puntiamo ad utilizzare campi magnetici anziché segnali elettrici». Il paziente danese ha raccontato passo passo le sue sensazioni e quelle della sua mano mentre i ricercatori, facendogli indossare una particolare cuffia rossa, monitoravano i “movimenti” del cervello durante la ricerca. «È come se particolari vibrazioni mi facessero capire quando afferro un oggetto come è fatto» dice Dennis.

Silvestro Micera, ingegnere del Politecnico di Losanna e docente dell'istituto di Biorobotica alla scuola superiore Sant'Anna di Pisa annuncia che entro i prossimi due anni la mano bionica potrebbe essere impiantata per un lungo periodo in due pazienti. L'obiettivo è riuscire ad ottenere un impianto cosiddetto “cronico”, quindi di lunga durata. Portatile utilizzando uno stimolatore da impiantare. Per non togliere più quella mano e quella parte di braccio, per conviverci serenamente, per vestirsi, lavarsi, mangiare e guidare la macchina. Anche accarezzare e abbracciare moglie e figli come ha fatto Dennis commosso quando sono venuti a trovarlo in Italia durante la ricerca.