Coronavirus più contagioso dell'ebola, ma non il più letale: morbillo e vaiolo al top

Coronavirus più contagioso dell'ebola, ma non il più letale: morbillo e vaiolo al top
di Lorena Loiacono
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Lunedì 30 Marzo 2020, 16:20 - Ultimo aggiornamento: 17:19

Pandemia, solo a nominarla fa tremare i polsi perché significa che il contagio da Covid-19 sta raggiungendo tutto il mondo. Ma l'uomo, e soprattutto i medici, hanno avuto spesso a che fare con malattie di questo tipo: tanto aggressive da decimare intere generazioni. Chi non ha avuto, in famiglia, racconti di quel che fu la “spagnola”? O, più recente, l'asiatica? Per non parlare poi delle ultimissime Sars, Ebola e influenzasuina”. Ci sono poi anche quelle malattie, endemiche, che nonostante il nome abbia un suono famigliare, se lasciate libere, ancora oggi possono essere decisamente micidiali: è il caso, ad esempio, del morbillo.

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Facciamo chiarezza sulle diverse malattie e il loro significato: con il termine “endemia” ci si riferisce appunto a quelle malattie come morbillo, parotite o varicella, che restano presenti tra le popolazioni e vengono tenute costantemente sotto controllo. Altra cosa è l'”epidemia” con cui si fa riferimento a un'improvvisa diffusione della malattia in un contesto ritretto a cui, come accaduto ora con il Covid-19, può far seguito la temuta “pandemia” che si concretizza con l'arrivo del virus in territori molto vasti, senza limiti.
 

 



Il Covid-19 è in piena pandemia: ad oggi si contano oltre 30mila morti in tutto il mondo. Sono tanti e, presumibilmente, il dato è destinato a crescere visto che la pandemia è ancora nel suo sviluppo. Per capire la ortata di un virus altamente mortale basta leggere il numero dei decessi che l'umanità ha avuto nella storia, legati a malattie spaventose.

La terribile peste nera, ad esempio, a metà del 1400 provocò qualcosa come 200milioni di morti, dimezzando di fatto la popolazione Europea. Erano altri tempi, si viveva con altri strumenti medici e si poteva contare su conoscenze scientifiche diverse da quelle attuali. Senza contare che le misure igienico-sanitarie sfuggivano al controllo sociale. Due secoli dopo fu la volta del vaiolo che, con i suoi 56milioni di morti, devastò le popolazioni native americane. Negli ultimi secoli si ricordano, con terrore, l'arrivo dell'influenza russa che negli anni a cavallo del 1890 provocò un milione di morti, durante la prima guerra mondiale fu la volta della cosiddetta “spagnola” che portò 56milioni di morti, tra il 1957 e il 1958 l'asiatica uccise oltre un milione di persone e altrettanti ne fece, dieci anni dopo, l'influenza di Hong Kong.

La Sars del 2002-2003, poco contagiosa ma decisamente letale, uccise 770 persone a cui fece seguito la ben più diffusa influenza suina che tra il 2009 e il 2010 portò 280mila decessi. Poi fu la volta dell'Ebola, tra il 2014-2016, con 12mila morti. Senza contare che le infezioni da Hiv e Aids, dai primi ani '80 ad oggi, hanno ucciso oltre 35milioni di persone. E probabilmente il numero continuerà a crescere.

Che cosa rende tanto letale una malattia? La capacità di contagio: per il momento si stima che un paziente affetto da Covid-19 possa contagiare 2-3 persone, rispetto all'influenza stagionale che arriva a 1,6 contagi. Ben più alti i contagi per il vaiolo che ha una capacità di contagio pari a 6 e al morbillo che arriva addirittura a 18.

Per quanto riguarda l'Italia, il numero dei pazienti deceduti continua a crescere. In base all'ultimo report dell'Istituto superiore di sanità, effettuato su un campione di casi, l’età media dei pazienti deceduti e positivi a è di 78 anni.

Le donne sono il 29,6% e hanno un’età più alta rispetto agli uomini.

A morire sono soprattutto i pazienti con patologie pregresse e diverse complicanze: l’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comunemente osservata, seguita da danno renale acuto, sovrainfezione e danno miocardico acuto.

Attenzione ai sintomi: i più comuni sono febbre e dispnea, vale a dire la respirazione alterata, meno frequenti sono tosse, diarrea ed emottisi, cioè la tosse con sangue. Il 6,4% delle persone non presentava alcun sintomo al momento del ricovero.


 
 
 

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