Coronavirus, l'infettivologo Bassetti: «Nessuna accelerazione dell'epidemia. E anche i ricoveri si sono stabilizzati»

Coronavirus, l'infettivologo Bassetti: «Nessuna accelerazione dell'epidemia. E anche i ricoveri si sono stabilizzati»
di Graziella Melina
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Sabato 28 Marzo 2020, 01:29 - Ultimo aggiornamento: 16:03

Se il numero dei contagiati e dei morti resi noti ieri è in aumento, non vuol dire che l'epidemia stia crescendo sempre di più. Secondo Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive dell'Ospedale policlinico San Martino di Genova, infatti, «la ragione sta semplicemente nel fatto che è cambiato il metodo di conteggio. Negli ultimi giorni infatti è stata modificata la modalità di rilevamento, per cui in alcune Regioni si sono fatti molti più tamponi di quanti se ne facessero prima». 

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Quello di ieri sembra però un altro bollettino di guerra.
«È vero, però il contenitore dei contagi prende insieme sintomatici e asintomatici. Quindi è inevitabile che cambiando la modalità di fare i tamponi i casi siano sempre di più. Quello che noi dobbiamo guardare come indicatore di come sta andando l'epidemia sono invece i ricoveri ospedalieri. Le Regioni del Nord Italia, che sono quelle che sono state interessate dal primo fenomeno, sembrano essersi stabilizzate. Hanno raggiunto ragionevolmente la fascia quasi di plateau, per cui è verosimile che forse il picco , almeno nelle regioni del nord Italia, probabilmente è stato raggiunto»
Ritiene che ci saranno picchi diversi per ogni regione?
«È inevitabile che occorra guardare prima la situazione lombarda ed emiliana, che sta interessando il 90 per cento dei casi italiani. Il picco probabilmente lì è stato già raggiunto e stiamo vedendo una fase di plateau, che è una fase che si appiattisce e continuerà probabilmente per quest'altra settimana. Avremo dei ricoveri costanti e poi ci auguriamo che con la metà della settimana prossima avremo una fase in cui il numero dei casi inizierà a scendere. È indubbiamente quello che tutti ci auguriamo di vedere».
Il numero crescente dei morti però impressiona e preoccupa. 
«I pazienti che oggi muoiono sono le persone che si sono infettate o che comunque hanno avuto situazioni critiche probabilmente sette, otto, dieci giorni fa, per cui non è un dato che ci dice la situazione di oggi, ma ci porta dietro un carico di tutti i pazienti che, in terapia intensiva o in un reparto, non hanno risposto alle terapie. Poi dobbiamo guardare molto anche all'età media dei decessi italiani, e questo è abbastanza tipico dell'epidemia del nostro Paese: è altamente sopra i 70 anni, per cui è evidente che la maggioranza dei decessi avvengono in persone che o sono molto anziane o hanno dei grossi problemi di base. Secondo l'Istituto Superiore di Sanità riguarda soggetti giovani senza comorbidità il 2% dei decessi».
A proposito di terapie, l'Agenzia italiana per il farmaco ha autorizzato per il Covid i farmaci per l'hiv e la malaria. Cosa ne pensa?
«È chiaro che siamo di fronte ad una malattia per la maggioranza sconosciuta, per cui ogni possibilità che l'Aifa offre a noi medici è ben accetta. Stiamo insomma lavorando su una malattia nuova, dove stiamo sperimentando, per cui è bene che l'Aifa lasci aperti i cordoni e dia ai medici la possibilità di sperimentare nuovi farmaci».

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Al San Martino di Genova quali medicinali state utilizzando per curare i contagiati?
«Noi già abbiamo sperimentato il remdesivir, un antivirale, stiamo utilizzando il tocilizumab, che è un antireumatico, poi quelli anche quelli contro l'hiv, e l'idrossiclorochina, un antimalarico. Stiamo usando il protocollo ligure e poi c'è anche quello della Società italiana di malattie infettive».
E funzionano?
«Abbiamo avuto dei successi. Però se dico che 5 su 7 sono andati bene non faccio un buon servizio alla scienza. Bisogna fare uno studio alla fine per vedere che cosa ha davvero funzionato». 
 

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