Tom Fels è curatore, scrittore e autore di due libri e diversi articoli sugli Anni ‘60, sul movimento studentesco, sulle proteste contro la guerra e sulle comuni che sono dilagate nel Paese durante quel periodo, dove ha vissuto per quattro anni tra il 1969 e il 1973. Ha studiato all’Amherst College, una delle università più esclusive degli Stati Uniti, con sede in Massachusetts. Vive a North Bennington, in Vermont.
Può descrivere le motivazioni che la hanno spinta a partecipare al movimento studentesco contro la guerra negli Anni ‘60 e ‘70?
«Nella mia epoca il coinvolgimento politico è prima iniziato con il lavoro nel movimento per i diritti civili, che poi si è trasformato in attività contro la guerra.
Oggi la maggior parte dei professori sta dalla parte degli studenti, mentre negli Anni ‘60 c’era una frattura generazionale più forte e spesso gli insegnanti erano contro le proteste. I professori erano contro di voi?
«Ai miei tempi alcuni professori altruisti, persino alcuni politici, sostenevano l’attivismo studentesco. Molti altri no. Ho lasciato l’attivismo dopo il college, percependo che i risultati ottenuti da individui e piccoli gruppi venivano vanificati dalle istituzioni e che venivano invocate nuove forze (droga, violenza) con le quali non volevo essere associato».
Quali sono state alcune delle strategie o tattiche chiave impiegate dal vostro movimento per aumentare la consapevolezza dei cittadini e dei politici sul problema della guerra in Vietnam? Sono ancora efficaci?
«Gli strumenti dell'epoca erano le manifestazioni, che sono un metodo usato ancora oggi. Spesso con cartelli stampati o scritti: servivano sia per diffondere il nostro pensiero che per dare parole e immagini ai giornalisti che poi le avrebbero usate per scrivere articoli o per i notiziari in televisione. Da allora i media sono cambiati moltissimo e gli strumenti si sono evoluti. Oggi bisogna considerare anche internet che può essere un’importante tecnica di disturbo e di attivismo come stiamo vedendo in questi giorni nelle proteste».
Vede qualche parallelo tra il movimento studentesco contro la guerra degli Anni ‘60 e ‘70 e le attuali proteste che chiedono la fine della guerra nella Striscia di Gaza?
«Il parallelo positivo è che i metodi precedenti sono stati adattati, addirittura copiati oggi. L’aspetto negativo è che la protesta è diventata, per alcuni, una professione, per la quale il disturbo è l’unico scopo, spesso bloccando soluzioni più ragionate».
Parlando di soluzioni, quale ritiene siano i risultati più significativi raggiunti dal movimento studentesco contro la guerra nel Vietnam?
«Sia i movimenti per i diritti civili che quelli contro la guerra volevano portare questi problemi all’attenzione del pubblico e, al tempo stesso, portare avanti i loro obiettivi. Sfortunatamente molti di questi progressi sono stati annullati oppure sono ora in pericolo. Inoltre, il movimento conservatore ha adottato alcune delle tattiche della sinistra, e addirittura le ha migliorate, quindi questo sarebbe, a mio avviso, uno degli esiti negativi dei movimenti di protesta degli Anni ‘60 e ‘70».
Guardando indietro, quale lezione pensa che gli attivisti di oggi possano imparare dai successi e dalle sfide affrontate dal movimento studentesco del passato?
«Temo che la lezione che devo più spesso dare è che leader e studenti non hanno imparato molto dalla storia dei movimenti che sembravano invece essere così promettenti nell’America del dopoguerra».