«Se non ora, quando?». L’Ue vuole spendere di più, meglio e insieme per l’acquisto di armi. Che siano, possibilmente, “made in Europe”. Il mondo è cambiato in una manciata d’anni, la minaccia per la sicurezza del continente è tangibile, «con il ritorno della guerra convenzionale ad alta intensità», e l’Ue si sveglia da un lungo letargo strategico accorgendosi che occorre tornare a investire sulla propria industria militare. Mantenendo fede alle attese, la Commissione ha presentato, ieri, il suo piano industriale per la difesa, una prima assoluta in un ambito che, tradizionalmente, è appannaggio dei singoli Stati: l’obiettivo è sostenere l’espansione della manifattura europea dopo gli anni di quiete che hanno fatto seguito alla fine della Guerra Fredda, liberando più risorse economiche (da subito sul tavolo ci sono 1,5 miliardi di euro) e ricorrendo ad appalti comuni per i sistemi d’arma. L’esempio da seguire è quello degli acquisti congiunti di vaccini e gas: i consorzi tra Stati verrebbero incentivati attraverso meccanismi di favore come l’esenzione dall’Iva, con Bruxelles a facilitare il coordinamento. I target, messi nero su bianco, sono ambiziosi: entro il 2030, il 40% degli equipaggiamenti militari dovrà essere comprato insieme, attraverso consorzi di Paesi Ue (nel 2022 la percentuale è stata solo del 18%), e la metà degli acquisti dovrà avvenire all’interno dei confini Ue.
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GLI ARSENALI
«Le guerre non si combattono con le banconote: dobbiamo rafforzare la nostra capacità produttiva, passando da una modalità di emergenza a una visione di medio e lungo periodo», ha detto il capo della diplomazia Ue Josep Borrell.
GLI OBIETTIVI
Un orizzonte «su cui sarà chiamato a lavorare il prossimo esecutivo Ue», ha rilanciato il commissario Ue all’Industria Thierry Breton, che solo due mesi fa aveva indicato in 100 miliardi l’investimento per sostenere la manifattura militare. Al piano europeo è da subito associata pure Kiev, dove aprirà un ufficio Ue per l’innovazione nella difesa incaricato di guidare il progresso tecnologico. La principale preoccupazione resta mandare armi all’Ucraina («Ha bisogno di 200 mila munizioni calibro 155mm al mese, circa 2,5 milioni all’anno», ha ricordato Borrell), ma sullo sfondo ci sono anche le relazioni con gli Stati Uniti, da cui l’Ue tra febbraio 2022 e giugno 2023, nel primo anno e mezzo di guerra, ha comprato il 63% degli equipaggiamenti militari (in totale, l’80% è extra-Ue). Fin troppo, per un continente che ha deciso di intraprendere il sentiero dell’autonomia strategica e vuole assumersi le sue responsabilità, pur nel dialogo con gli alleati. E questo, dicono a Bruxelles, a prescindere che a novembre alla Casa Bianca torni di moda l’isolazionismo di Donald Trump.