Coronavirus, il rischio di una “guerra dei vaccini”: «Per produrne 7 miliardi di dosi ci vorranno anni e i prezzi voleranno»

Si profila una guerra dei vaccini ? «Per raggiungere tutti ci vorranno anni e i prezzi voleranno»
di Pietro Piovani
5 Minuti di Lettura
Domenica 12 Aprile 2020, 19:49 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 12:16

Il giorno in cui la scienza avrà trovato un vaccino contro il Covid-19 sarà un grande giorno per l'umanità, ma ancora non potremo dire di essere fuori dall'incubo. «Dovremo vaccinare una larga percentuale della popolazione mondiale nel minor tempo possibile. Probabilmente ci vorranno due o tre anni» stima Richard Hatchett, presidente della Cepi, un organismo creato da società farmaceutiche, istituzioni statali ed enti filantropici per unire gli sforzi nella creazione di nuovi vaccini contro le malattie infettive.

LEGGI ANCHE Covid-19 Italia, il bollettino di Pasqua

Trovare l'arma decisiva per vincere la guerra non basta, poi bisogna costruirla, ed è un lavoro che può richiedere tempi lunghi. E nel frattempo? C'è il rischio di trovarsi in uno scenario angosciante, in cui si potrebbero innescare guerre commerciali tra gli Stati, e all'interno di ogni singola nazione forti tensioni sociali e politiche, perché decidere a chi somministrare prima il vaccino non sarebbe affatto facile.

Innanzitutto, si tratterà di vedere in quale Paese verrà raggiunto l'obiettivo. Il governo di quel Paese potrebbe avere la forte tentazione di bloccare la vendita del farmaco all'estero, almeno finché non si sia arrivati alla copertura dell'intera popolazione nazionale. È molto probabile che gli Stati adottino misure protezionistiche e che si inneschino fenomeni di accaparramento sui mercati internazionali, come del resto abbiamo già visto succedere in questi mesi di epidemia con le mascherine, i reagenti per i tamponi, i ventilatori per le terapie intensive, per i quali addirittura è nata una competizione all'interno dei singoli Paesi (in Italia sono i presidenti delle Regioni a litigarsi le macchine per la respirazione).

«Ogni Paese con la capacità industriale di produrre il vaccino potrebbe imporre limiti alle esportazioni o nazionalizzare la produzione. È un'ipotesi preoccupante» osserva Hatchett, perché cercare di sconfiggere un'epidemia globale pensando solo all'interesse nazionale è evidentemente una strategia destinata all'insuccesso. Al momento nel mondo ci sono circa 50 diversi tipi di vaccino in sperimentazione, quasi in ogni Paese avanzato ci sono ricercatori al lavoro per trovare una soluzione, i laboratori più forti e gli investimenti più pesanti ovviamente sono quelli degli Stati Uniti, ma anche la Cina è molto impegnata nella corsa e si calcola che siano almeno 1.000 gli scienziati cinesi destinati a questa missione.

C'è poi un altro tipo di competizione che ci possiamo aspettare: «La selezione avverrebbe attraverso un aumento dei prezzi, e sarà brutale» prevede Simon Evenett , economista dell'Università di St. Gallen in Svizzera, esperto di mercati internazionali. «Chi avrà la maggiore disponibilità finanziaria si assicurerà vaccini e terapie. E i Paesi più poveri saranno tagliati fuori». Ma i conflitti non saranno soltanto tra Stati. All'interno di ogni Paese si porrà, almeno nella prima fase, la delicata questione di scegliere a quali categorie dare la precedenza: prima gli anziani, perché sono i più esposti e rischiano di più la vita? O prima i giovani, perché c'è bisogno di farli tornare a lavorare? E bisognerebbe partire dagli uomini, che secondo le statistiche muoiono per coronavirus molto più delle donne? C'è poi la possibilità che si crei - anche in Paesi con un sistema sanitario pubblico forte come l'Italia - un mercato privato parallelo, e chi se lo può permettere vada a farsi vaccinare a proprie spese. Potrebbero esserci truffe, accaparramenti da parte di soggetti privati, controversie legali e anche conseguenze politiche.
 


Per prevenire tutto questo, molti invocano che si segua la strada della collaborazione internazionale. Uno dei primi ad auspicare che i governi e le industrie farmaceutiche si accordino sin d'ora per coordinare gli sforzi nella ricerca ed evitare contrasti futuri è stato Bill Gates, l'inventore di Microsoft, che da diversi anni richiama l'attenzione sulla necessità di attrezzarsi su scala globale contro la minaccia dei virus. Gates invoca un grande piano di investimenti preventivi sostenuti dalle istituzioni pubbliche. Per l'imprenditore, bisogna mettere in campo una massa di risorse enorme, pur sapendo che una grandissima parte di questi soldi andrà inevitabilmente sprecata. «Dobbiamo cominciare subito a costruire gli impianti per la produzione di questi vaccini. Quelli candidati a diventare il prodotto più efficace sono diversi e ognuno ha bisogno di macchine e strumenti diversi per essere realizzato. Questo vuol dire che dobbiamo costruire impianti diversi per ciascuno di essi, sapendo che molte di queste strutture alla fine non verranno utilizzate. È un rischio finanziario che i gruppi privati non possono sobbarcarsi, ma i governi sì». Se si farà così, si accorceranno drasticamente i tempi per avere quei sei, sette miliardi di dosi almeno di cui l'umanità ha bisogno per cancellare il virus dalla Terra. Calcolando che, secondo le previsioni più ottimistiche, ci vorrà almeno un anno prima di far partire la produzione (ma più realisticamente il tempo minimo è un anno e mezzo), e da quel momento bisognerà aspettare almeno un altro paio di anni per fabbricare i vaccini necessari a proteggere tutti o quasi tutti gli abitanti del pianeta, e l'unico modo per ridurre questa attesa al minimo è scommettere oggi una cifra pesantissima ed essere disposti anche a perderla. Quale cifra? La stima è 30 miliardi di dollari. Una somma tutto sommato abbordabile, a patto che sia divisa equamente tra tutti gli Stati del mondo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA