Coronavirus, presto un vaccino. Sanguinetti (microbiologo): «Conosciamo le mutazioni del virus»

Coronavirus, presto un vaccino. Sanguinetti (microbiologo): «Conosciamo le mutazioni del virus»
di Graziella Melina
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Sabato 29 Febbraio 2020, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 14:08

La conoscenza del nuovo coronavirus, isolato ora anche dai ricercatori dell'ospedale Sacco di Milano, per gli scienziati è fondamentale per poter arrivare a cure efficaci. «Grazie a questi studi - spiega Maurizio Sanguinetti, direttore del dipartimento di Scienze di Laboratorio e infettivologiche della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma e presidente della Società europea di Microbiologia e Malattie infettive (Escmid) - si è più certi che l'eventuale vaccino che si farà funzionerà in modo corretto». Ma per averlo già pronto all'uso si dovrà ancora aspettare. «Molto probabilmente dal prossimo anno potremmo averlo disponibile magari nel vaccino influenzale».

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Cosa significa in sostanza isolare il virus?
«I metodi diagnostici per evidenziare le infezioni virali sono tipicamente basati sull'amplificazione del genoma, Dna o Rna a seconda del virus. In realtà, si evidenzia la presenza del patogeno cercando il suo acido nucleico. Il virus è un patogeno intracellulare obbligato, un'entità che non è in grado di replicazione autonoma. In sostanza, si replica solo nelle cellule: per evidenziarne la presenza si prende il campione del paziente, lo si mette in colture cellulari. Se le colture sono sensibili al virus e il virus entra dentro la cellula e si replica, le rompe o le fa esplodere, o viene eliminato per gemmazione. Poi si ritrova il virus nel terreno di coltura e si può evidenziare mediante anticorpi o simili. Noi non abbiamo così solo l'acido nucleico, come si fa in un test convenzionale, ma disponiam dell'organismo infettante».

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A cosa serve?
«É estremamente utile perché è un'entità che è in grado di replicarsi e funzionare a tutti gli effetti. Quindi si può studiare per la sensibilità agli antivirali, per vedere se si può inibirne la crescita, per valutare la presenza di anticorpi. Si può studiare inoltre per evidenziare alcune parti del virus che possono essere usate per fare un vaccino».

Di virus isolati ora ce ne sono parecchi.
«Avere isolato il virus che circola in Italia ci permette di vedere se si è modificato. Ci può permettere quindi di identificare parti che non variano delle proteine potenzialmente coinvolte nello sviluppo di un vaccino, parti costanti cioè che sono quelle più ambite per sviluppare un farmaco. Più ce ne sono meglio è».

Cosa vuol dire che il virus è mutato?
«Questo virus è mutato rispetto alla Sars e quindi ha una capacità di legarsi in modo più efficiente al recettore e quindi in pratica è più contagioso. Però nello stesso tempo è meno aggressivo. Quindi, si replica in modo meno efficiente all'interno delle cellule e causa un danno minore rispetto alla Sars».

C'è chi sostiene che è simile a un'influenza, e chi dice invece che è molto più pericoloso.
«Hanno ragione tutti e due. Il problema c'è, nel senso che i pazienti che sviluppano una forma severa della malattia devono ricevere un supporto che normalmente non si ha con l'influenza. E se questo supporto non si dà, si pensi ad alcuni Paesi africani, può aumentare la mortalità».

E il paziente zero?
«Scoprirlo adesso è un divertimento epidemiologico, è passato ormai troppo tempo. L'epidemia evoluta può servire per capire bene la storia, ricostruirlo ora è molto difficile».

Secondo il Consiglio Superiore di Sanità gli asintomatici non trasmettono il virus, quindi sottoporli ai test è inutile. Cosa ne pensa?
«È una strategia condivisibile, ma bisogna tenere presente nell'evoluzione della malattia anche di alcuni casi che sono stati descritti di trasmissione a partire da individui asintomatici al momento minoritari. Anche questi dunque vanno monitorati con attenzione».
 

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