Tumori al colon attaccati dal Predator: nuova cura scoperta al Gemelli di Roma

Il Predator che attacca i tumori del colon: il progetto del Policlinico Gemelli di Roma
di Francesco Malfetano
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Mercoledì 21 Agosto 2019, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 23:34

«Per noi si tratta di una vera e propria guerra contro il tumore al colon-retto, e la combattiamo educando il sistema immunitario al riconoscimento degli organoidi tumorali». Sul fronte c'è il 38enne Carmine Carbone, un giovane biologo molecolare prestato alla ricerca oncologica presso il Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli di Roma. Con il suo progetto Predator il ricercatore vuole attaccare quella che è la seconda neoplasia per incidenza in Italia: il tumore al colon-retto. Ogni anno infatti nel nostro Paese ne vengono diagnosticati più di 50 mila casi. Nel 2018 ad esempio, sono state 28.800 le diagnosi maschili e 22.500 quelle femminili, con picchi che colpiscono gli individui di età compresa tra i 60 e i 75 anni.

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«L'idea - spiega il ricercatore originario di Airola, nel beneventano - è quella di rendere il sistema immunitario del paziente capace di riconoscere il tumore e studiarne i meccanismi di resistenza». Quindi di educare il corpo malato a reagire alla presenza della neoplasia e tenerla sotto controllo. Da qui anche il nome del progetto: «I Predator sono gli aerei teleguidati, senza pilota a bordo, utilizzati per il controllo dei territori ostili - racconta Carbone - mi era piaciuta l'analogia con i linfociti T che noi mettiamo a contatto con il tumore per fargli esercitare una sorta di controllo».
 


I MECCANISMI
La ricerca - che avrà una durata di 3 anni - cercherà di capire i meccanismi della resistenza all'immunoterapia partendo dallo «sviluppo di una piattaforma Avatar» che conservi «le caratteristiche anatomiche e genetiche del tumore in tutti e 4 i suoi sottotipi». Realizzando cioè una sorta di archivio composto da «miniaturizzazioni in 3D che mantengono le proprietà dei tessuti originari, prelevati dai pazienti». Vale a dire degli organoidi, delle basi molecolari in vitro, che possano essere messe a contatto con le due principali componenti del sistema immunitario coinvolte: i linfociti T (responsabili delle risposte immunitarie del nostro corpo) e i mieloidi soppressori (Mdsc), che invece contrastano l'azione anti-tumorale dei linfociti stessi. «Il loro contatto determinerà un fenomeno di resistenza che però ci aiuterà nel tentativo di trovare una cura».

SCHEDATURA
È quindi necessaria un'azione di schedatura di per sé piuttosto lunga che, nel caso di Predator, si avvantaggerà del supporto del polo ospedaliero romano. In questo senso infatti, il Comprehensive Cancer Center diretto dal professor Giampaolo Tortora presso il policlinico Gemelli di Roma è una possibilità duplice per Carbone dato che la struttura da un lato gli permette di contare «su un team e su laboratori di tutto rispetto», dall'altro perché «è possibile verificare l'intera ricerca in clinica - spiega - dato che qui ci occupiamo di circa mille pazienti all'anno». Vale a dire la più alta casistica nel nostro Paese che, è bene ricordare, rischia di dover fronteggiare una situazione sempre più difficile anche a causa della crescente diffusione dei fattori di rischio come consumo di carni rosse, insaccati e zuccheri raffinati, oltre a fumo, alcol, sedentarietà e sovrappeso. Non solo, il 38enne può anche contare su un assegno di ricerca che recentemente gli è stato assegnato come primo classificato in assolutodi Research to Care, un bando a sostegno della ricerca scientifica indipendente italiana promosso dalla direzione medica di Sanofi Genzyme, divisione specialty care di Sanofi.

Un premio da 100mila euro che consente a Carbone di portare avanti non solo un impegno reso necessario dai numeri registrati in Italia (il tumore al colon-retto è anche la seconda causa di morte oncologica del nostro Paese con 18.935 decessi) ma anche un'altra sua personale battaglia: «Fare ricerca a casa».

 

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