Anselmo Silvino, ex olimpico a Monaco, festeggia la medaglia dopo 52 anni

Anselmo Silvino, ex olimpico a Monaco, festeggia la medaglia dopo 52 anni
3 Minuti di Lettura
Sabato 18 Maggio 2024, 07:20 - Ultimo aggiornamento: 10:38

Va con la sua piccola auto a Monaco di Baviera, un bagaglio a mano, vince una medaglia di bronzo nella pesistica alle olimpiadi del 1972, con la quale solo ultimamente ha fatto i conti poiché l’unico colore che avrebbe sempre accettato era l’oro, lì perde i suoi due amici israeliani uccisi dal comando terroristico Settembre Nero, rincasa a bordo della sua Renault 6 in via Nicola Palma e, coi soldi della federazione, i sette e milioni e mezzo di lire per la medaglia ottenuta, costruisce casa e il suo futuro. Alla fine per il 79enne Anselmo Silvino, che ha perso il figlio Sirio (l’altro, Giulio, è campione di crossfit), «la vita è stata bellissima, tutta, tutta». Lo racconta con gli occhi umidi di un boxeur che nel suo incontro le ha prese ma si è potuto togliere anche tante soddisfazioni, rispondendo con ganci e dritti. «Ho realizzato i miei sogni: avere una palestra, cacciare, pescare, una piccola casa di pochi mq a Poggio Umbricchio, la famiglia». La storia del teramano è intensa come potrebbe esserla quella di uno sportivo dei primi anni ‘70: per cominciare, a dispetto di atleti contemporanei social e pluri-incensati, partì con il proprio mezzo alla volta di un convento dei frati salesiani di Bardolino «dove si mangiava tanto bene per allenarmi al meglio in vista delle olimpiadi». Per poi proseguire alla volta di Monaco per vincere una medaglia di bronzo che doveva essere per lui d’oro («eravamo in sei a contendercela») e che a casa raramente tira fuori dal cassetto per riammirarla o lucidarla: per molto tempo non l’ha mai fatta sua. Una stramba remora per un metallo non accettato: «Solo recentemente, vedendo nel podio della Formula Uno festeggiare così entusiasticamente per un terzo posto, ho cominciato a voler bene a quel bronzo, mi sono addolcito». È stato sempre ambizioso: «Un’atleta che s’accontenta non è tale, non farà mai i risultati» è il suo motto. Silvino tornò a Teramo da Monaco, con la sua R6 acquistata da Cascioli, senza che nessuno lo aspettasse o festeggiasse, appena un giorno prima di quel 5 settembre 1972 quando un commando di terroristi palestinesi fecero irruzione del villaggio olimpico uccidendo alla fine 11 atleti israeliani, tra cui il suo caro amico Yossef Romano, 31 anni, pesista, nato in Libia, padre di tre figli e veterano della guerra dei sei giorni: «Ebbi il sentore che potesse accadere qualcosa perché quando arrivai nel villaggio olimpico entrai nella palazzina degli italiani, che era di fronte a quella israeliana, senza che nessuno mi chiedesse i documenti, molto liberamente. Purtroppo, ho visto morire due amici, non volevo credere alla notizia. Gli amici italiani mi hanno riferito di terribili spari dinanzi a loro». Lo stesso Yossef Romano, che usava le stampelle per via di un incidente al ginocchio, provò eroicamente a togliere un fucile nelle mani di un terrorista ma fu ucciso, forse torturato a morte. «La vita – chiude Silvino – è stata bellissima, ho potuto fare sempre quel che volevo». Forse tranne scegliere il colore della medaglia e il destino di suo figlio. «Sì - ripete – la vita è stata bella anche nella disperazione».

Maurizio Di Biagio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA