Corte Ue: Paesi dell'Unione non possono rifiutarsi di riconoscere il cambio di genere

Il parere dell'Avvocatura: non farlo viola un diritto

Corte Ue: Paesi dell'Unione non possono rifiutarsi di riconoscere il cambio di genere
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Martedì 7 Maggio 2024, 11:06 - Ultimo aggiornamento: 11:13

«Il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere i cambiamenti di nome e di genere acquisiti in un altro Stato membro è contrario ai diritti dei cittadini dell'Unione europea». E' quanto si legge nel parere dell'Avvocatura generale della Corte di Giustizia Ue in merito al caso di un cittadino romeno registrato di sesso femminile alla nascita ma che, dopo essersi trasferito nel Regno Unito e acquisito cittadinanza britannica senza perdere quella romena, ha cambiato nome e genere. Le autorità romene, successivamente, non hanno riconosciuto questo cambiamento. Il caso risale al 2017, prima della Brexit.

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Tale tribunale ha chiesto alla Corte di giustizia se la normativa nazionale su cui si basava la decisione di diniego delle autorità rumene sia conforme al diritto dell'Unione e se la Brexit abbia un impatto su tale causa. L'avvocato generale Jean Richard de la Tour osserva, innanzi tutto, che i fatti all'origine alla controversia di cui è investito il giudice rumeno si sono verificati prima della Brexit o durante il periodo di transizione ad essa successiva. I documenti emessi nel Regno Unito devono quindi essere considerati come quelli di uno Stato membro dell'Unione ai fini della valutazione della domanda del tribunale. Inoltre, si ritiene che il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell'Unione e il diritto al rispetto della loro vita privata ostino a che le autorità di uno Stato membro rifiutino di riconoscere e iscrivere nei registri dello stato civile il nome acquisito da un cittadino di conto Stato membro in un altro Stato membro di cui è parimenti cittadino. Lo stesso vale per il rifiuto da parte di tali autorità di riconoscere l'identità di genere acquisita dal cittadino in questione in tale altro Stato membro e di iscriverla senza alcun procedimento nel suo atto di nascita.

Gli Stati membri restano tuttavia competenti a prevedere gli effetti di tale riconoscimento in materia di matrimonio e di filiazione.

Secondo le direttive dell’Unione europea tutti i cittadini hanno il diritto di essere trattati in modo equo. Il 76 % degli europei intervistati nel 2019 ha convenuto che le persone gay, lesbiche o bisessuali dovessero avere gli stessi diritti delle persone eterosessuali, rispetto al 71 % del 2015. Le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali, possono tuttavia essere discriminate in molti ambiti della vita, ad esempio quando cercano lavoro o richiedono prestazioni di sicurezza sociale, a scuola o quando hanno bisogno di assistenza sanitaria.

Per questo l’Ue si adopera per combattere l’omofobia e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e delle caratteristiche sessuali, e mira a garantire che i diritti delle persone LGBTI siano tutelati in tutta l’Ue. Nell’ambito degli sforzi volti a combattere la discriminazione negli anni la Commissione europea ha presentato un elenco di azioni riguardanti, ad esempio, l’istruzione, l’occupazione, la salute, la libera circolazione, l’asilo e i reati generati dall’odio. Per realizzare un cambiamento in tale ambito, l’Unione europea lavora a stretto contatto con i paesi dell’Ue, responsabili della promozione e dell’applicazione dei diritti delle persone LGBTI, come il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e le norme riguardanti il riconoscimento giuridico del genere.

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