Critiche alla sindacalista, viene assolto: niente diffamazione

Per i giudici d’Appello di Perugia il lavoratore ha espresso, su Facebook, critiche nei limiti

La Corte d'appello di Perugia
di Michele Milletti
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Martedì 30 Aprile 2024, 12:18

PERUGIA – Ci sono critiche e critiche. Quelle che raccontano fatti veri e che, se anche espresse in modo non propriamente diplomatico, non superano i limiti imposti dalla legge e quelle che invece sconfinano e sfociano nella diffamazione. In questo caso, se si utilizzano i social network la situazione diventa inevitabilmente molto più pesante per chi l’ha espresse dal momento che potenzialmente certe parole offensive possono essere lette da migliaia di persone.

Un limite sempre molto labile, dunque. E spesso abbondantemente travalicato. Ma non in questo caso. Quello cioè di un lavoratore che critica aspramente sui social dedicati al lavoro la condotta di una sindacalista, di cui evidentemente non è rimasto soddisfatto, e finisce sotto processo proprio per quelle critiche dal momento che per chi le ha subite sono passibili proprio del reato di diffamazione, per di più condotto con l’aggravante del mezzo social network.

Ebbene, per i giudici della Corte d’appello, secondo quanto si legge nella sentenza n. 3306/2023 depositata lo scorso febbraio e di cui si ha notizia attraverso il notiziario penale di aprile redatto dalla stessa Corte d’appello, in questo caso non si configura il reato.

«Gli insulti perpetrati mediante i propri account social rientrano nell’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p. - scrivono i giudici nella sentenza - in quanto riconducibile all’utilizzo di mezzi di pubblicità diversi dalla stampa, la cui gravità è rappresentata soprattutto dalla platea sconfinata di possibili destinatari, ipotesi che può combinarsi con quella individuata dal comma 2 del medesimo articolo, laddove un soggetto pubblichi sui social delle offese espressione di un fatto determinato.

Tuttavia, la condotta è scriminata quando, pur offendendo la reputazione altrui, si esercita il diritto di critica, purchè ricorrano le condizioni della verità del fatto narrato, l’oggettivo interesse per l’opinione pubblica e la cd continenza verbale».

Questo il quadro generale in cui inquadrare la vicenda, con i giudici che poi entrano nello specifico del fatto. «Nel caso di specie, in cui l’imputato all’interno di un gruppo Facebook di discussione sui diritti dei lavoratori, riportando il proprio caso personale, criticava la condotta della propria sindacalista – di cui non indicava il nome, ma forniva dettagli per la sua identificazione – per non averlo adeguatamente tutelato, sussistono tutti i requisiti per ritenere operante la scriminante del diritto di critica. Nell’esporre fatti veri, infatti, i commenti dell’imputato non costituiscono un attacco personale lesivo della dignità morale e intellettuale della sindacalista, non hanno oltrepassato i limiti della continenza formale e sono da considerarsi pertinenti al tema in discussione e proporzionali al fatto narrato».

Insomma, nessuna diffamazione ma critiche rimaste nei limiti imposti dal diritto.

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